Unesco e Italia: il verdetto che stiamo aspettando col fiato sospeso

Mentre il mondo guarda all’India per il verdetto Unesco, l’Italia riflette sulla necessità di preservare le sue radici culinarie che rischiano di svanire

L’attesa è quasi finita: mercoledì 10 dicembre, la città di Nuova Delhi ospiterà l’importante riunione del comitato intergovernativo dell’Unesco. L’ordine del giorno prevede una decisione storica: stabilire se la cucina italiana possa entrare a far parte dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. I segnali sono incoraggianti e l’ottimismo è palpabile; ottenere questo status rappresenterebbe una vittoria non solo per la nostra eccellenza gastronomica, ma per l’essenza stessa della cultura nazionale.

Roberta Garibaldi, membro del Comitato scientifico che ha curato la candidatura, ha evidenziato come «la cucina italiana non è soltanto un insieme di ricette, è un linguaggio culturale che racconta territori, stagioni e comunità». Il dossier presentato è il risultato di un lavoro sinergico tra La Cucina Italiana, la Fondazione Casa Artusi e l’Accademia Italiana della Cucina, uniti nell’intento di preservare un patrimonio che rischia l’oblio.

Un patrimonio domestico in declino

Le statistiche dipingono un quadro preoccupante: le abitudini culinarie casalinghe stanno subendo una rapida contrazione. Solamente una piccola percentuale, tra il 6 e l’8% della popolazione, si dedica alla preparazione di pasta fresca o pane almeno una volta a settimana. Anche il consumo di zuppe e legumi, pilastri della dieta di un tempo, è crollato, con solo il 33% che li cucina regolarmente. Lo studio intitolato “La cucina italiana: evoluzione degli acquisti, cambiamento dei consumi e nuovi modelli di socialità” rivela che il risotto settimanale è sparito dalle tavole di 7 italiani su 10, e meno del 18% si cimenta nella creazione di dolci fatti in casa.

Il divario generazionale è evidente: i giovani tra i 18 e i 24 anni si allontanano sempre più dalla preparazione di pietanze complesse, optando per soluzioni rapide come il food delivery o i cibi pronti. La fiaccola della tradizione rimane accesa grazie agli over 65, veri custodi del sapere culinario, e resiste maggiormente nel Sud Italia, complice la vicinanza con botteghe e mercati rionali.

Fermare la “diaspora culturale”

Gli esperti definiscono la situazione attuale come una vera e propria diaspora culturale: sebbene la cucina italiana sia celebrata ovunque, viene praticata sempre meno. Garibaldi avverte: «È urgente rafforzare l’educazione alimentare e la trasmissione culturale alle nuove generazioni», sottolineando la velocità allarmante con cui mutano le abitudini a tavola.

La frenesia della vita moderna spinge verso la comodità a discapito del rito della cucina. Il pericolo reale, però, non è solo la perdita di ricette, ma lo smarrimento di un momento di aggregazione fondamentale, fatto di tempi lenti, gestualità e saperi che si tramandano di padre in figlio.

Strategie per il futuro: tra aule e social network

Per scongiurare la scomparsa di queste tradizioni, il comitato ha delineato un piano d’azione nazionale. Le tre direttrici fondamentali sono: l’inserimento strutturale dell’educazione alimentare nei programmi scolastici, la promozione della cucina italiana attraverso i nuovi linguaggi dei social media e la creazione di un network globale di valorizzazione.

Come ribadisce Garibaldi: «La candidatura Unesco deve essere accompagnata da azioni concrete di tutela attiva. Dobbiamo parlare ai giovani dove loro vivono, sui social, ma anche insegnare la storia dei prodotti e delle ricette a scuola. Solo così la cucina italiana potrà davvero essere protetta e tramandata».

La decisione attesa da Nuova Delhi non sarà dunque un mero trofeo da esporre, ma l’inizio di una rinascita culturale volta a rigenerare il nostro patrimonio gastronomico, proteggendone il valore identitario e sociale.

A cura della redazione

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